Giurisprudenza annotata

6.10. CORTE COST. N. 267/2010


Abstract


a sentenza in oggetto si segnala sia per la parte in cui la corte dichiara l’estinzione della causa (per rinuncia delle parti ricorrenti), sia per la parte residua che giunge a sentenza.

 

Partiamo da questa seconda, che si pone in piena continuità con le ultime decisioni in materia di vincoli statali alla potestà organizzativa regionale in ambito sanitario. Più scontata la pronuncia in merito al previsione legislativa della regione Calabria che prevedeva il “passaggio” del personale medico-sanitario in servizio presso la “Fondazione per la ricerca e la cura dei tumori Tommaso Campanella” – soggetto privato – all’Azienda ospedaliera universitaria Mater Domini – struttura pubblica – in caso di mancato riconoscimento della medesima Fondazione in IRCSS. Era pertanto inevitabile che, stante l’automatismo del meccanismo delineato da legislatore regionale, la previsione dovesse soccombere per evidente violazione della regola costituzionale del concorso pubblico come metodo di selezione per l’accesso a posti pubblici.

 

Più interessante la censura mossa dal Governo nei confronti dell’istituenda Autorità per il servizio Sanitario, cui la regione Calabria ha inteso affidare una serie di compiti di vigilanza, controllo, verifica tutti finalizzati a supportare la regione nel controllo/contenimento/ottimizzazione della spesa sanitaria. Il parametro invocato dallo Stato in questa, come in altre recenti occasioni, è la potestà statale in materia di coordinamento della finanza pubblica. La regione si è difesa “contrattaccando”: se lo scopo dei vincoli di coordinamento finanziario sono quelli del controllo e del contenimento della spesa, non solo non sussiste contrasto, ma la previsione regionale traguarda i medesimi obiettivi. Il governo, dal canto suo, ha invece rimarcato il contrasto con le (reiterate) previsioni che impongono la limitazione del numero delle strutture di supporto a quelle strettamente indispensabili al funzionamento degli organismi istituzionali, e ha – in definitiva – censurato l’istituzione dell’Autorità per il servizio Sanitario della regione Calabria in quantoaggiuntivanon indispensabilesuperflua. Anche in questo caso, dunque, la Corte si è trovata a giudicare dei limiti che possono derivare dall’esercizio del coordinamento della finanza pubblica rispetto all’autonomia organizzativa costituzionalmente riconosciuta alle regioni, anche in ambito sanitario. La risposta del giudice delle leggi appare equilibrata, nella misura in cui si sforza di declinare il requisito della “indispensabilità” delle strutture di supporto in maniera proporzionata e meno lesiva possibile della funzione organizzatrice regionale. In questo senso, non è la previsione di una struttura in più (in termini formali) a costituire lesione del parametro, quanto piuttosto il mancato coordinamento (sia strutturale che funzionale) della nuova struttura nell’apparato amministrativo preesistente, spia evidente del fatto che nell’esercizio della funzione di organizzazione (che pure le spetta), la regione non ha tenuto conto dell’esigenza di mantenere al complessivo assetto dei suoi apparati “serventi” il carattere della “stretta indispensabilità”, ma ha prodotto sovrapposizioni di compiti, non ha chiarito i rapporti con la competente direzione regionale, ha lasciato immutati l’ufficio e le funzioni del preesistente “Garante della salute”. Premesse argomentative che, sebbene nel caso specifico conducano alla declaratoria di incostituzionalità, lasciano tuttavia intravedere degli spazi non angusti di manovra all’autonomia organizzativa regionale, anche se prefigurano in capo alla Corte una inedita e penetrante capacità di sindacato sulle scelte organizzative che debbano sottostare al requisito della stretta “indispensabilità”.

 

Veniamo ora a quella parte della sentenza che, in ragione della estinzione del relativo giudizio, potrebbe sembrare nient’affatto meritevole di attenzione. In realtà, la rinunzia da parte della Regione Calabria e del Governo ai rispettivi ricorsi, segna il superamento di una serrata “battaglia” che ha avuto per oggetto la definizione del Piano di rientro dal disavanzo sanitario della Regione Calabria medesima. Si tratta, in altri termini, della formalizzazione di un “armistizio” che pone fine (per il momento) ad una contrapposizione sfociata anche in un giudizio costituzionale che potremmo definire a struttura “riconvenzionale”, dal momento che al ricorso depositato dal governo nel giugno 2009 contro la legge regionale calabrese relativa alla definizione del piano di rientro, aveva risposto la stessa regione Calabria, impugnando la disciplina statale varata proprio nei confronti (uti singulum) della situazione debitoria del sistema sanitario calabrese. Una contrapposizione nella quale il governo centrale ha “brandito” la sostanziale estromissione delle regione dalla gestione della fase di rientro dal debito (cfr. art. 20, comma 4 del d.lgs. 78 del 2009, che prevede, a fronte della presentazione da parte regionale di un piano valutato dal governo in termini di “non congruità”, il commissariamento ai fini della predisposizione del piano e la sua definitiva approvazione da parte del Consiglio dei Ministri), al fine di “forzarne la mano” in sede di trattativa per la stipula dell’accordo. Una strategia, quella della controparte statale, che pare aver dato i suoi frutti: dopo un serrato botta risposta (giocato anche sulla falsariga della procedura disegnata dalla normativa impugnata dalla regione) le due parti hanno stipulato l’accordo per il piano di rientro il 17 dicembre scorso (vedilo in allegato). Da sottolineare che anche la rinunzia ai rispettivi ricorsi presso la consulta ha costituito oggetto di intesa, così da rendere evidente il loro carattere “strumentale”, nel quadro di una vicenda istituzionale più ampia e complessa.

 

L’impressione è che nella battaglia “il centro” abbia avuto la meglio: è vero che entrambe le parti hanno rinunciato al ricorso; ma mentre la legislazione calabrese appare svuotata al suo interno dai termini dell’intesa stipulata al termine della querelle (nell’accordo si ribadisce che gli interventi individuati dal Piano sono vincolanti per la regione e che “le determinazioni in esso previste comportano effetti di variazione dei provvedimenti normativi ed amministrativi già adottati dalla Regione Calabria in materia di programmazione sanitaria”), resta integro e formalmente in vigore il meccanismo sostitutivo disegnato ad hoc dal legislatore nazionale per la Regione Calabria, i cui pur rilevanti profili di possibile contrasto con diverse previsioni costituzionali non hanno potuto essere affrontati dalla Corte. Che il contraente forte sia lo Stato lo si evince, poi, da una ulteriore circostanza: il Governo non rinunziato al giudizio su tutte le questioni pendenti con la Regione Calabria, ma solo a quelle direttamente connesse alla stipulazione del Piano. Una dimostrazione di forza che per altro ha trovato riscontro, come si è visto sopra, nell’accoglimento di entrambe le questioni residuate.


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