Giurisprudenza annotata
Abstract
Il Consiglio di Stato si pronuncia sull’interpretazione dell’art. 13 del d.l. n. 223/2006 (c.d. decreto Bersani), facendo chiarezza in ordine all’estensione dell’ambito soggettivo di applicazione di tale norma. Come è noto, essa stabilisce il divieto, per le società partecipate dagli enti locali e regionali impegnate nella produzione di beni e servizi strumentali all'attività di tali enti, di svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento di diretto né con gara, e di partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale.
Osserva il giudice amministrativo che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza 1° agosto 2008, n. 328), l’art. 13, nel ricorrere al concetto di “strumentalità”, definisce il proprio ambito di applicazione facendo riferimento all’oggetto sociale delle società a partecipazione pubblica, rendendo necessario distinguere fra attività amministrativa in forma privatistica e attività d'impresa di enti pubblici: «l'una e l'altra», afferma la Corte, «possono essere svolte attraverso società di capitali, ma le condizioni di svolgimento sono diverse. Nel primo caso vi è attività amministrativa, di natura finale o strumentale, posta in essere da società di capitali che operano per conto di una pubblica amministrazione. Nel secondo caso vi è erogazione di servizi rivolta al pubblico (consumatori o utenti), in regime di concorrenza». In questo modo il legislatore non intende privare gli enti territoriali della libertà di iniziativa economica, ma vuole soltanto imporre loro di esercitare tale iniziativa separatamente rispetto alle funzioni amministrative di cui sono titolari, evitando una commistione tanto frequente quanto potenzialmente distorsiva della concorrenza. L’obiettivo della norma, detto in altri termini, è quello di impedire che soggetti dotati di privilegi – tra cui l’affidamento diretto per lo svolgimento di prestazioni in favore o per conto dell’ente di appartenenza – operino in mercati concorrenziali, introducendovi fattori di distorsione.
Diviene pertanto fondamentale comprendere cosa debba intendersi per attività strumentale, alla quale si ricollega il divieto previsto dalla norma in esame. Su questo punto il Consiglio di Stato, richiamandosi alla propria giurisprudenza (C.d.S., sez. V, 7 luglio 2009, n. 4346), chiarisce che vi è strumentalità quando «l'attività che le società sono chiamate a svolgere sia rivolta agli stessi enti promotori o comunque azionisti della società per svolgere le funzioni di supporto di tali amministrazioni pubbliche» in vista del perseguimento dei loro fini istituzionali (C.d.S., sez. V, 12 giugno 2009, n. 3766). Si giustifica in quest’ottica anche la previsione di cui al secondo comma del ricordato articolo 13, che impone a tali società strumentali un oggetto sociale esclusivo, con la precisazione che esso non deve essere inteso come divieto delle società multiutilities, ma come rafforzamento delle regola della esclusività.
Per contro, il divieto in questione non opera con riferimento a società a partecipazione pubblica destinate ad operare sul mercato in condizioni concorrenziali analoghe a quelle di ogni altra impresa, svolgendo un’attività economica non servente rispetto alle finalità istituzionali dell’ente pubblico proprietario.
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