Abstract
SOMMARIO: 1. Premessa; 2. La decisione della Corte di Giustizia ; 3) Conclusioni.
1. Premessa. Con la sentenza del 10 giugno 2010 la Corte di Giustizia Europea, nei procedimenti riuniti C-395 e C-398, valuta la compatibilità della disciplina previdenziale italiana applicata ai rapporti di lavoro a tempo parziale verticale con la direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997 97/81/CE relativa all’Accordo Quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla GES. La questione di pregiudizialità comunitaria è sorta nell’ambito di un contenzioso che vedeva contrapposti alcuni lavoratori all’ INPS in relazione alla determinazione dei criteri da adottare per misurare l’anzianità contributiva maturata ai fini del calcolo del diritto alla pensione. Mentre l’istituto affermava che nel caso di lavoro part-time verticale l’anzianità contributiva dovesse calcolarsi con riferimento al periodo di effettiva realizzazione della prestazione le parti private sostenevano che tale anzianità dovesse calcolarsi con riferimento dal momento di instaurazione del rapporto contrattuale cosi come avviene per le diverse fattispecie del tempio pieno del part - time orizzontale. Considerato tale contesto la Corte di appello di Roma sollevava questione pregiudiziale ipotizzando la non conformità dell’articolo 7, comma 1 della legge 638/83 che non prevede quale anzianità contributiva utile per l’acquisizione della pensioni i periodi non lavorati nel part-time verticale al principio di non discriminazione contenuto alla clausola sub 4 dell’accordo dell’accordo quadro sul part - time .
2. La decisione della Corte di Giustizia. Con la sentenza in commento la Corte disconosce le difese dell’Inps e dello Stato Italiano considerando del tutto arbitrario e discriminante il criterio adottato per la quantificazione dell’anzianità contributiva dei lavoratori che svolgono rapporto a tempo parziale verticale ciclico. La Corte applica il principio di non discriminazione previsto dalla clausola quattro dell’accordo citato come elemento di comparazione tra il trattamento riconosciuto ai lavoratori a tempo pieno e quelli a tempo ridotto. Il principio pro rata temporis trova corretta applicazione nell’ambito della quantificazione della prestazione previdenziale non attenendo , invece, al determinazione del momento in cui tale diritto può essere esercitato. Un trattamento pensionistico commisurato alla quantità di lavoro costituisce un criterio obbiettivo di quantificazione che permette di operare una distinzione tra il trattamento riconosciuto al lavoratore a tempo parziale e quello a tempo pieno. Al contrario, l’anzianità contributiva corrisponde alla durata effettiva del rapporto di lavoro e non alla quantità di lavoro fornita nel corso della relazione contrattuale. A fronte del fatto che il lavoro a tempo parziale non implica un ‘interruzione dell’impiego la disciplina italiana comporta un trattamento discriminante dei lavoratori a tempo parziale ciclico verticale. Quest’ultimi infatti sarebbero soggetti ad un trattamento deteriore a fronte dei loro colleghi a tempo determinato non giustificato da ragioni obiettive. Nonostante una durata del rapporto contrattuale di lavoro identica il lavoratore a tempo parziale matura il diritto alla pensione con un ritmo più lento giacchè commisurato non al rapporto di lavoro ma all’effettuazione della sola prestazione. Tale disciplina comporta una violazione del principio di uguaglianza di cui il disposto della clausola 4 dell’accordo sul divieto di discriminazione è espressione specifica. Precisato preliminarmente l’ambito di applicazione del principio di non discriminazione nell’ambito del trattamento previdenziale ,la Corte è poi passata a valutare l’esistenza di ragioni obiettive che eventualmente giustifichino tale diversa disciplina tra lavoratori a tempo pieno e tempo parziale. In tale prospettiva la Corte considera non accoglibile la difesa dell’Inps e del governo italiano imperniata sulla considerazione che nel periodo non lavorato il contratto di lavoro a tempo parziale ciclico debba considerarsi sospeso. Il mancato accoglimento di tale impostazione difensiva trova fondamento in due motivazioni. La prima è costituita dalla presa d’atto da parte della Corte che per il pubblico impiego l’ordinamento italiano riconosce utili per intero gli anni di servizio ad orario ridotto ai fini dell’acquisizione della pensione a carico dell’amministrazione incaricata . Inoltre, con maggiore livello di approfondimento i giudici di Bruxelless escludono la riconducibilità del lavoro a tempo parziale, quale particolare modalità di attività lavorativa caratterizzata dalla mera riduzione della durata normale del lavoro, a quelle forme di sospensione del rapporto di lavoro che costituiscono un anomalia nello svolgimento del la prestazione piuttosto che l’oggetto di una precisa disposizione che determina l’oggetto e le modalità d’attuazione dell’attività contrattuale . Seguendo lo stesso schema argomentativo la Corte ritiene che sussista identica disparità di trattamento qualora senza in assenza di valide giustificazioni obiettive l’anzianità contributiva sia calcolata per il lavoro a tempo parziale verticale ciclico differentemente da quanto previsto per quello parziale orizzontale.
3. Conclusioni. La direttiva 97/81 attuando l’accordo sul lavoro a tempo parziale concluso tra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale è diretta a realizzare un miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori nella comunità europea operando il ravvicinamento di tali condizioni con particolare riguardo alle diverse forme di lavoro a tempo indeterminato, come il lavoro determinato, il lavoro a tempo parziale , il lavoro temporaneo e stagionale. La corte riafferma quindi la centralità del lavoro parziale inteso come modalità contrattuale di cui la comunità promuove lo sviluppo sanzionando ogni normativa nazionale che possa discriminare il ricorso a tale istituto sia con riferimento ai rapporti di lavoro a tempo pieno sia per ciò che riguarda eventuali disparità di trattamento con il lavoro a tempo parziale orizzontale. La competenza nazionale sui sistemi previdenziali trova quindi un preciso limite nella direttiva che attua l’accordo quadro sul lavoro parziale attraverso l’individuazione di ogni disparità di trattamento che pregiudichi un istituto contrattuale che si colloca nell’ambito della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori. La discrezionalità del legislatore nazionale nel definire l’assetto del regime previdenziale è comunque limitata dall’attuazione di una precisa direttiva che pur collocandosi all’interno della carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali e della strategia globale europea per l’occupazione ha una valenza limitata ai rapporto di lavoro a tempo parziale. In altri termini nell’ambito della definizione dei confini della competenza del legislatore nazionale il limite evidenziato da tale arresto giurisprudenziale sembra ricondursi al diritto secondario derivato della comunità, costituendo solo uno dei possibili confini che lo stato nazionale incontra progressivamente nell‘ambito della definizione dei regimi previdenziali .
Riferimenti bibliografici
I contenuti redazionali di questo sito sono distribuiti con una licenza Creative Commons, Attribuzione - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia (CC BY-SA 3.0 IT) eccetto dove diversamente specificato. Diretta da G. Terracciano, G. Mazzei, J. Espartero Casado. Direttore Responsabile: G. Caputi. Redazione: C. Rizzo. Iscritta al N. 16/2009 del Reg. stampa del Tribunale di Roma - ISSN 2036-7821