Giurisprudenza annotata

5.5. Consiglio di Stato, sez. IV, 10 aprile 2009, n. 2243


Abstract


La decisione del Consiglio di Stato n. 2243 pronunciata il 3 marzo 2009 apparentemente sembra affrontare un classico caso di divieto di accesso a documenti amministrativi nei confronti del Comune di Dobbiaco. Nelle sue considerazioni la quarta sezione afferma, o meglio riafferma, alcuni principi ormai consolidati nel diritto di accesso. Ma partiamo dal caso specifico oggetto dell’appello. Nell’ambito di una classica contestazione in merito a lavori affidati da un Albergo ad una impresa, si rendeva necessaria l’acquisizione di planimetrie relative all’ampliamento di un edificio. Il Comune negava l’estrazione delle copie asserendo di poter disporre per le copie solo di formati diversi da quello originario. Da una situazione, purtroppo, abbastanza comune e paradossale, il Consiglio di Stato non si limita solo ad ordinare al Comune l’accesso e l’estrazione della copia delle planimetrie in precedenza negate, ma approfitta dell’occasione per ribadire alcuni principi importanti.

Il consesso afferma di dover “far leva su alcuni dati normativi di valore inequivocabile” e inizia con la nozione di “documento”. Riguardo alla nozione di documento rilevante ai fini dell’accesso “è evidente che il legislatore, con la normativa sulla trasparenza procedimentale, non ha ristretto il concetto ai soli supporti cartacei, ma ne ha anzi dato una formulazione amplissima, comprendente “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale” (art. 22, comma 1, lett. d, Legge 7.8.1990, n. 241).” La disciplina sull’accesso deve essere quindi considerata estesa ad ogni documento, non solo su supporto cartaceo, indifferentemente dal modo e dalla tecnica con cui sia stato prodotto, visto che il comma 3 dello stesso articolo afferma, perentoriamente, che “tutti i documenti amministrativi sono accessibili”, fatte salve alcune eccezioni fondate sul tipo di contenuto degli atti.

Per il Consiglio di Stato davanti ad una previsione normativa così “stringente”, le situazioni idonee ad escludere il rilascio di copie di un atto vanno valutate con estrema severità. E proprio in relazione alle possibili situazioni di impedimento dell’esercizio del diritto di accesso, i giudici si soffermano sulla nozione di impossibilità alla luce della normativa civilistica nell’ottica del principio della buona fede oggettiva “che impone comunque di mantenere, nei rapporti della vita di relazione, un comportamento volto anche alla salvaguardia dell'utilità altrui, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio (da ultimo, Cassazione civile, sez. III, 15 febbraio 2007, n. 3462).”

Nel contesto della decisione trova spazio anche il tema del divieto di asporto di un documento. Sia la normativa comunale che quella nazionale impediscono l’asporto dei documenti, ma viene precisato che ciò attiene al comportamento imposto al soggetto richiedente e non incide minimamente sugli obblighi della amministrazione. Nel caso specifico il Consiglio afferma che “Appare quindi incongruo utilizzare un disposto normativo che pone un obbligo di condotta omissivo in capo al richiedente per giustificare la mancata osservanza di un obbligo di condotta positivo in capo all’amministrazione”.

Infine, la IV Sezione sente l’obbligo di rimarcare la differenza tra la disciplina dell’accesso e quella processuale. Come affermato ormai dalla giurisprudenza, il diritto di accesso non rappresenta una pretesa meramente strumentale alla difesa in giudizio della situazione a cui fa riferimento, ma è invece diretto al conseguimento di un autonomo bene della vita. Ne consegue che la richiesta per l’accesso agli atti è assolutamente indipendente, non solo rispetto alla sorte del processo principale nel quale venga fatta valere, ma anche dall’eventuale infondatezza o inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente, una volta conosciuti gli atti, potrebbe proporre (viene richiamata la decisione della stessa sezione n. 4645 del 5.9.2007). L’accesso tutela un autonomo bene e per questo la legittimità della domanda deve essere valutata in relazione esclusivamente al dovere di ostensione in capo all’amministrazione, ai sensi della legge n. 241/90, non facendo riferimento ad altre disposizioni normative.

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