Giurisprudenza annotata

5.4. T.A.R. Lazio,Roma Sezione II, sent. 22/12/2008 , n. 12222 – Prostituzione


Abstract


Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha respinto il ricorso presentato da enti associativi per la tutela dei diritti civili dei soggetti esercenti la prostituzione per l’annullamento dell'ordinanza del Sindaco di Roma n. 242 del 16 settembre 2008 e del d.m. 5 agosto 2008 (in G.U. n. 186 del 9 agosto 2008) che specifica gli ambiti di applicazione, con riferimento alla novella recata dall'articolo 6 del d.l. 23 maggio 2008 n. 92 (convertito, con modificazioni, dalla l. 24 luglio 2008 n. 125), all'articolo 54, commi 4 e 4-bis del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267. L’organo decisionale ha rigettato integralmente le censure, intese a contestare i provvedimenti impugnati sotto il profilo sia procedimentale, sia della violazione di legge e dell'eccesso di potere per varie ragioni, riconoscendo in capo al sindaco il pieno potere di differenziare le forme di contrasto a comportamenti altrimenti qualificati come illeciti in quanto la finalità della tutela dell’interesse pubblico, ancorché locale, dell’ordinanza impugnata è quella tipicamente amministrativa di rafforzare le strategie di contrasto al fenomeno della prostituzione .Per quanto attiene alla procedura di formazione  dell'impugnato d.m., la mancanza del prescritto parere obbligatorio del Consiglio di Stato e della comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri, che l'articolo 17, c. 3, della l. 23 agosto 1988, n. 400 prescrive per i regolamenti ministeriali, sono stati ritenuti irrilevanti dal collegio, in quanto l’impugnato d.m. non presenta il requisito dell’astrattezza e della generalità né un dato testuale univoco, ossia la dicitura «regolamento», che faccia concludere in tal senso. Non basta infatti sostenere che il citato d.m. sia in parte esecutivo dell'articolo 54, commi 1 e 4, del d.lgs. 267/2000 ed in parte l'integrazione di clausole generali poste da tali fonti primarie, giacché esso non regola una serie indefinita di fattispecie riferibili a dette clausole, ma si limita a fissare linee-guida atte ad indirizzare ed uniformare, per tutto il territorio della Repubblica, la potestà sindacale d'ordinanza in materia.Osserva altresì il collegio che l'eventuale eliminazione del citato d.m. non eliderebbe di per sé l'ordinanza n. 242/2008, in quanto questa ripete comunque la sua validità direttamente dall'articolo 54, c. 4, del d.lgs. 267/2000 e, quindi, spetterebbe pur sempre al Sindaco, in base, ad un suo prudente apprezzamento discrezionale, ascrivere i singoli casi alle predette norme, regolandoli di conseguenza.Al contrario il legislatore, consapevole della rigidità e dell'incompletezza d'ogni definizione troppo rigida in materia, ha preferito stabilire, con la fonte primaria, una disciplina generale atta a regolare un ampio numero di casi, rimettendo alla prudente valutazione di quella pubblica amministrazione, per legge investita anche dell'analisi e della disamina dei comportamenti inerenti all'ordine ed alla sicurezza pubblici, l’onere di fissare un'acconcia definizione di sicurezza urbana.Errano, perciò, i ricorrenti nell'interpretare il d.m. impugnato come se fosse la fonte innovativa ex abrupto di un ordinamento ignaro delle predette esigenze e non invece il necessario atto d'indirizzo (e di limitazione) della discrezionalità sindacale ai sensi, ossia in conformità, per i fini e nei limiti di cui all'articolo 54, commi 1 e 4, del d.lgs. 267/2000Sicché l'ordinanza n. 242/2008 va letta ed interpretata, a fermo avviso del Collegio, in stretto raccordo con il d.m. 5 agosto 2008, nel senso che la regolazione nei confronti di sex workers e clientela, lungi da una connotazione meramente repressiva o da propositi d’allontanare o peggio ghettizzare i sex workers in aree marginali o pericolose, denota un serio  tentativo di valutazione contestuale dei comportamenti d'entrambi gli attori del mercato stesso.Pertanto, poiché né la prostituzione, né la richiesta non coercitiva di prestazioni sessuali a pagamento attingono da soli alle soglie della punibilità ai ensi degli artt. 527 e 726 c.p., poiché l'abbandono di beni e/o di rifiuti organici è già sanzionato dagli artt. 192 e 255 del d.lgs. 152/2006 indipendentemente dal fatto che tali condotte illecite riguardino, o no, l'esercizio della prostituzione e poiché le questioni di traffico son già disciplinate dagli artt. 6 e 7 cod. strad., l'impugnata ordinanza assume tali dati non per doppiarne la sanzione, ma quali cause del disagio sociale da contenere e diminuire. L'ordinanza considera allora tali vicende a guisa di presupposti che muovono il Sindaco ad intervenire illico et immediate con acconce misure regolative e di salvaguardia igienico-ambientale, salve poi quelle che le competenti Autorità intendano assumere sul medesimo fenomeno, costituendo la fonte di un'insicurezza collettiva e diffusa che, ove non regolata, determinerebbe proprio quei nocivi effetti di discredito e di astio verso gli street sex workers all’origine di ulteriori tensioni ed esclusione socialeViene inoltre posto in evidenza come l'ordinanza non sanziona certo l'abbigliamento o l'atteggiamento dei soggetti di diritto solo perché denotino un dato gusto  o un orientamento sessuale, ma mira a limitare solo quei comportamenti che, secondo il prudente e serio apprezzamento degli organi accertatori, sia strumentale all'esercizio del meretricio che nella sua dimensione attuale s'impone alla restante collettività per sua forza pervasiva, ossia come uno spazio di mercato del tutto anomalo e che la cittadinanza subisce e sente come degrado della convivenza civile.L’ordinanza, secondo i giudici amministrativi, non appare in contrasto con l’ articolo 23 Cost., o del principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, in quanto, da un lato, è la legge a porre la potestà d'ordinanza de qua a guisa di strumento ordinario e non meramente straordinario per risolvere le criticità strutturali della sicurezza urbana e, dall'altro, l'ordinanza in sé è un provvedimento nominato, ma a contenuto e ad effetti variabili, a seconda del modo d'atteggiarsi in concreto della vicenda da risolvere, mantenendo pienamente – e questa è la sua caratterizzazione saliente – un contenuto comunque tipico e quindi pienamente rispettoso del principio di legalità dell’azione amministrativa e di tipicità dei provvedimenti della pubblica amministrazione.

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