Giurisprudenza annotata

9.2. Corte costituzionale, sentenza 8 maggio 2009, n. 149


Abstract


La Corte costituzionale con la sentenza n. 149/2009 ha accolto il ricorso per conflitto di attribuzione presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, nei confronti della Regione Sardegna per l’annullamento dell’atto di promulgazione della legge statutaria della Sardegna del 10 luglio 2008, n. 1 (Disciplina riguardante la forma di governo e i rapporti fra gli organi, i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento della regione, l’esercizio del diritto di iniziativa popolare e i referendum regionali, i casi di ineleggibilità e incompatibilità alla carica di presidente della regione, consigliere regionale e assessore regionale) in riferimento all’art. 15, comma 4, dello Statuto speciale della stessa regione autonoma adottato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (come modificata dalla legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2).

La legge, approvata dal Consiglio regionale, ai sensi dell’art. 15, comma 2, dello statuto regionale, era stata sottoposta, su iniziativa di diciannove consiglieri regionali, a referendum confermativo come previsto all’art. 15, comma 4, dello stesso Statuto ai sensi del quale detta legge «è sottoposta a referendum regionale, la cui disciplina è prevista da apposita legge regionale, qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti del consiglio regionale».

Il citato art. 15, comma 4, dispone, inoltre, che «la legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi».

Il referendum, svoltosi il 21 ottobre 2007, ha visto affermarsi un parere contrario alla legge statutaria con 153.053 voti contrari a fronte dei 72.606 voti favorevoli alla legge statutaria. Il quorum non veniva dunque raggiunto per effetto del rinvio di cui all’art. 15, comma 1, della legge regionale 28 ottobre 2002, n. 21 (Disciplina del referendum sulle leggi statutarie), all’art. 14, comma 2, della legge regionale 17 maggio 1957, n. 20 (Norme in materia di referendum popolare regionale) ai sensi del quale il referendum non è dichiarato valido se «non vi ha partecipato almeno un terzo degli elettori». Risulta chiaro, dunque, che il referendum sulla legge regionale statutaria, tenuto conto che ha partecipato un numero di elettori inferiore al quorum previsto, non poteva essere considerato valido e la legge regionale sarda non poteva essere promulgata perché il procedimento di approvazione non era ancora giunto a compimento. La Corte d’appello di Cagliari, nel corso del procedimento di verifica dei risultati ha, quindi, dichiarato non valido il referendum. A seguito di tale dichiarazione il Presidente della Regione ha provveduto comunque alla promulgazione della legge regionale.

Il ricorso prospetta due ordini di censure a carico dello stesso atto. Il primo profilo riguarda l’eventuale illegittimità dell’art. 15, comma 4, dello Statuto che non contempla il quorum strutturale in ordine al referendum in oggetto. Il secondo motivo di doglianza, ad avviso del ricorrente, concerne il Presidente della regione che non avrebbe potuto adottare l’atto di promulgazione perché la legge statutaria sottoposta a referendum confermativo non era stata approvata dalla maggioranza dei voti validi.

La Corte costituzionale dichiara innanzitutto inammissibile la costituzione in giudizio della regione Sardegna poiché essa è avvenuta in data 15 ottobre 2008 ovvero dopo la scadenza dell’ultimo termini utile. Il ricorrente ha, inoltre, contestato che l’atto di promulgazione si è basato su una disciplina del referendum (ovvero il combinato disposto fra l’art. 14, comma 2, della legge regionale della Sardegna n. 20 del 1957, e l’art. 15, della legge regionale della Sardegna n. 21 del 2002) completamente incompatibile con l’art. 15 dello Statuto che, invece, non prevede alcun quorum strutturale. Secondo il ricorrente l’illegittimità costituzionale di tale disciplina si estenderebbe all’atto di promulgazione.

Ad avviso della Corte, la doglianza così formulata non farebbe altro che presupporre un dubbio di costituzionalità di una legge regionale che, a suo tempo, non fu oggetto di impugnazione in via principale; pertanto, per quanto concerne questo aspetto, la Corte dichiara inammissibile il ricorso. Se così non fosse, precisa lo stesso Giudice, il ricorso per conflitto di attribuzioni si risolverebbe in uno strumento attraverso il quale eludere i termini perentori di cui all’art. 127 cost., e diverrebbe un mezzo per sottrarre al giudice a quo il potere-dovere di sollevare in via incidentale la questione di legittimità costituzionale dell’atto avente forza di legge, sul quale si fonda il provvedimento davanti ad esso impugnato (si v. sentenze 386 del 2005, 375 del 2008, n. 386 del 2005 e n. 334 del 2000). 

È, invece, ammissibile il ricorso presentato per quanto concerne l’illegittimità sopravvenuta a seguito della promulgazione della legge statutaria. A tal riguardo, la Corte costituzionale precisa che una volta scaduti i termini per una impugnazione in via diretta e preventiva di uno statuto regionale ordinario, ai sensi dell’art. 123, comma 2, cost., il Governo può utilizzare il conflitto di attribuzione per denunciare l’asserita illegittimità dell’atto di promulgazione per vizi precedentemente non rilevabili. Si richiama, a tal proposito, quanto già affermato molto tempo addietro, e con riferimento ad un altro contesto costituzionale, nella sentenza n. 40 del 1977, ovvero che può accadere che «proprio dalla intervenuta promulgazione si assuma risulti menomato un potere costituzionalmente spettante al Governo e la proposizione del conflitto sia l’unico mezzo del quale dispone per provocare una decisione di questa Corte che restauri l’ordine delle competenze». Il Giudice delle Leggi precisa, inoltre, che gli Statuti regionali hanno assunto nel nuovo quadro costituzionale italiano una particolare rilevanza, tant’è che l’art. 123 cost. dispone la possibilità per il Governo di impugnare la legge regionale entro 30 giorni dalla pubblicazione e consente, entro tre mesi dalla pubblicazione, ad un cinquantesimo degli elettori della Regione o ad un quinto dei componenti del consiglio regionale di richiedere un referendum. Lo Stato, anche attraverso queste previsioni costituzionale, ha scelto di porsi come garante della «istanza unitaria» che connota il pluralismo istituzionale del Paese. Con riferimento al caso di specie, la legge regionale viene ad esser caducata non direttamente per illegittimità costituzionale, bensì per effetto dell’annullamento del relativo atto di promulgazione, affetto da vizio procedimentale per mancato perfezionamento dell’iter previsto; ne consegue l’inefficacia della stessa legge invalidamente promulgata. Nella decisione viene posto in rilievo che nel caso in cui il vizio d’illegittimità sopraggiunga nella fase ulteriore del procedimento e si consolidi a seguito dell’atto di promulgazione, esso si proietta su tale fase, in relazione alla quale è il conflitto di attribuzione tra enti, e non più il giudizio di legittimità costituzionale, a risultare lo strumento costituzionale per garantirne la tutela, preservando la competenza dello Stato ad impedire che entrino in vigore norme statutarie costituzionalmente illegittime.


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