Giurisprudenza annotata

16.4. Consiglio Stato, VI, 15 giugno 2009, n. 3829


Abstract


Laddove un appalto sia stato illegittimamente aggiudicato mediante affidamento diretto, senza celebrazione di alcuna gara, e il relativo contratto sia stato integralmente eseguito, il danno per l’impresa non affidataria consiste nella perdita della chance di partecipazione e di vittoria che essa avrebbe potuto spendere se fosse stato bandito un pubblico appalto.

La chance è ristorabile ogni qualvolta la possibilità di vittoria sia seria, anche se non necessariamente superiore al 50%.

Il danno da perdita di chance può essere liquidato solo in via equitativa, avuto riguardo al grado di probabilità che la società avrebbe avuto di aggiudicarsi la gara ove la stessa fosse stata bandita, secondo il criterio civilistico che determina il danno da perdita di occasione favorevole in via equitativa in ragione della maggiore o minore probabilità dell’occasione perduta.

La base per tale valutazione è l’utile conseguibile in caso di vittoria, scontato percentualmente in base al numero dei partecipanti alla gara o concorso.

Tale tecnica, tuttavia, è di complessa applicazione quando una gara non c’è mai stata, - come accade nel caso di specie, di illegittimo affidamento a trattativa privata. In tal caso occorre ipotizzare in via di medie e presunzioni quale sarebbe stato il numero presumibile di partecipanti alla gara, se gara vi fosse stata, e di dividere l’utile presumibile di impresa per il numero presuntivo di partecipanti: il quoziente costituisce la misura del danno risarcibile.

Si deve invece escludere il ristoro di altri voci di danno quali i costi di partecipazione alla gara (mai sostenuti), o il danno all’immagine professionale o il danno curriculare, in un caso simile così ipotetici e privi di prova da sfuggire anche alla logica della perdita di chance.

Il ragionamento del Consiglio di Stato si conclude con quello che può a ragione essere considerato un vademecum per il computo dei risarcimenti nel caso in cui l’Amministrazione abbia illegittimamente evitato di bandire una gara.

Anzitutto occorre quantificare l’utile annuo in base al contratto affidato a trattativa privata, moltiplicato per il numero di anni di prevista durata del contratto come originariamente pattuito, senza tener conto di eventuali proroghe o rinnovi.

L’utile va quantificato in via equitativa e forfetaria sulla base delle risultanze del contratto stipulato, tenendo conto delle somme complessivamente pagate all’esecutore e ipotizzando un utile forfetario del dieci per cento rispetto a tali somme.

Non si può tenere conto, invece, stante l’utilizzo del criterio equitativo, né dell’utile in termini di ritorno pubblicitario, di difficile e opinabile quantificazione, né dell’utile effettivamente conseguito dall’aggiudicatario, né desumerlo aliunde.

L’importo così quantificato andrà diviso per dieci, atteso si ipotizza una possibile partecipazione alla gara di dieci concorrenti, se gara vi fosse stata, e dunque si quantifica nel 10% la possibilità di vittoria di qualunque partecipante.

L’utile forfetario del 10%, dopo essere stato diviso per dieci, e dunque abbattuto del 90%, dovrà subire un ulteriore abbattimento del 50%, dovendosi detrarre dal mancato utile l’aliunde perceptum o percipiendum.

Infatti è ragionevole ritenere che l’aspirante partecipante e affidatario, durante il periodo di vigenza del contratto, abbia utilizzato e mezzi e maestranze in altri appalti, o avrebbe potuto impiegarli con la dovuta diligenza professionale.

Full Text

PDF

Riferimenti bibliografici





I contenuti redazionali di questo sito sono distribuiti con una licenza Creative Commons, Attribuzione - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia (CC BY-SA 3.0 IT) eccetto dove diversamente specificato. Diretta da G. Terracciano, G. Mazzei, J. Espartero Casado. Direttore Responsabile: G. Caputi. Redazione: G. Iacovino, C. Rizzo. Iscritta al N. 16/2009 del Reg. stampa del Tribunale di Roma - ISSN 2036-7821