Giurisprudenza annotata

12.7. Corte Costituzionale, sentenza 29 maggio 2009, n. 165


Abstract


La sentenza 29 maggio 2009, n. 165 della Corte Costituzionaleverte sul giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, commi 1 e 3, 14, 17, 19, 23, commi 7, 8 e 9, e 44 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 marzo 2008, n. 6 (Disposizioni per la programmazione faunistica e per l'esercizio dell'attività venatoria), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri.

Il Governo ha impugnato numerose disposizioni della citata legge sul presupposto che esse eccedano la competenza legislativa primaria che lo statuto speciale attribuisce alla predetta Regione nelle materie della caccia e della tutela del paesaggio, flora e fauna, con conseguente lesione degli artt. 3, 18, 117, primo e secondo comma, lettere l) e s), della Costituzione e degli artt. 4, primo comma, e 6, primo comma, punto 3, della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia).

Le disposizioni regionali impugnate risulterebbero, a giudizio del ricorrente, in contrasto con la legge statale 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).

In premessa la Corte sottolinea che “la disciplina statale che delimita il periodo venatorio […] è stata ascritta al novero delle misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili, rientrando in quel nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica ritenuto vincolante anche per le Regioni speciali e le Province autonome” e che “le disposizioni legislative statali che individuano le specie cacciabili” hanno carattere di norme fondamentali di riforma economico-sociale (sentenza n. 227 del 2003 che richiama la sentenza n. 323 del 1998).

Passando ad esaminare le singole censure la Corte dichiara l’inammissibilità di quelle relative agli artt. 14 e 17 delle legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 6 marzo 2008, n. 6 in quanto formulate senza un fondamento argomentativo adeguato.

La Corte afferma, altresì, che quelle riferite ai commi 1 e 3 dell'art. 2 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia sono fondate.

Il legislatore regionale, infatti, nel sottoporre l'intera Regione Friuli-Venezia Giulia al regime giuridico della zona faunistica delle Alpi, ha, “irragionevolmente”, limitato la quota di territorio da destinare a protezione della fauna selvatica, con ciò violando gli standard minimi ed uniformi di tutela di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. e, in particolare, ponendosi in contrasto con quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 10 e 11 della legge n. 157 del 1992, in ragione del quale l'individuazione del territorio delle Alpi quale zona faunistica a sé stante presuppone la presenza di peculiari caratteristiche.

La Corte ritiene fondata anche la questione relativa all'art. 19. La disposizione impugnata si propone di disciplinare la gestione e l'organizzazione dell'attività venatoria nel territorio regionale e, a tal fine, prevede la creazione di un'Associazione dei cacciatori affidandole i compiti sopra indicati, individuando, poi, gli organi di cui si compone l'indicata Associazione e stabilendo, tra l'altro, che l'Assemblea degli eletti sia composta da “un'adeguata e omogenea rappresentanza dei cacciatori sia territoriale […] che per tipologia di caccia”.

Tale disposizione risulta difforme rispetto a quanto previsto dall'art. 14, comma 10, della legge n. 157 del 1992 che, nel fissare i criteri di composizione degli organi preposti alla gestione dell'attività venatoria fissa uno standard minimo ed uniforme di composizione degli organi stessi che deve essere garantito in tutto il territorio nazionale[1].

Per quanto riguarda, inoltre, le censure che investono l'art. 23, commi 7, 8 e 9 la Corte afferma che la questione riferita al comma 7 non è fondata, in quanto tale previsione è conforme all'art. 16, comma 1, lettera b), della legge statale n. 157 del 1992; le questioni riguardanti i successivi commi 8 e 9 sono fondate in quanto la Regione Friuli-Venezia Giulia, nell'escludere che l'attività venatoria svolta all'interno delle aziende agri-turistico-venatorie sia considerata caccia, nonché nell'estendere il permesso di caccia nelle suddette aziende a “tutto il periodo dell'anno”, introduce “un’irragionevole deroga” alla rigida disciplina sulle modalità di esercizio della caccia che contrasta con gli standard minimi ed uniformi di tutela della fauna, quali previsti dalla legislazione dello Stato.

Infine la questione avente ad oggetto l'art. 44 della legge regionale in esame è fondata. Tale norma prevede che la cattura degli uccelli avvenga “esclusivamente” attraverso l'uso d’impianti fissi “a reti orizzontali (prodine) e verticali (roccoli e bressane)” e che “le amministrazioni possano individuare un impianto compreso tra quelli attivati da destinare a cattura per l'allevamento amatoriale e ornamentale”.

La Corte, con la sentenza n. 124 del 1990, aveva già dichiarato l'illegittimità costituzionale di analoghe disposizioni contenute nella legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 24 luglio 1969, n. 17, che consentivano l'utilizzo dei predetti mezzi di cattura già qualificati come non selettivi che risultano, tra l'altro, in contrasto con la stessa normativa internazionale e specificamente con la Convenzione relativa alla Conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa adottata a Berna il 19 settembre 1975.

 

 

[1]L'art. 14, comma 10, della legge statale n. 157 del 1992 prevede che “negli organi direttivi degli ambiti territoriali di caccia deve essere assicurata la presenza paritaria, in misura pari complessivamente al 60 per cento dei componenti, dei rappresentanti di strutture locali delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e delle associazioni venatorie nazionali riconosciute, ove presenti in forma organizzata sul territorio. Il 20 per cento dei componenti è costituito da rappresentanti di associazioni di protezione ambientale presenti nel Consiglio nazionale per l'ambiente e il 20 per cento da rappresentanti degli enti locali”.


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