Giurisprudenza annotata

1.7. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV, 2 FEBBRAIO 2010, N. 469


Abstract


Con la sentenza n. 469 del 2 febbraio 2010, la quarta sezione del Consiglio di Stato ha svolto un’interessante disamina del D. Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, recante “Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali” (in G.U. n. 249 del 23 ottobre 2002).
Nella fattispecie, alcune associazioni di categoria hanno impugnato la lex specialis di gara di una procedura per l’affidamento di un servizio di ristorazione, in ragione della iniquità delle clausole relative al termine di pagamento del corrispettivo e alla decorrenza e misura degli interessi moratori ed in ragione della loro contrarietà agli articoli 4 e 5 del D. Lgs. n. 231/2002. In assenza delle contestate clausole, di per sé non ostative alla partecipazione alla gara, avrebbero partecipato, con molta probabilità, altre imprese medie o piccole, quando, invece, la loro palese iniquità aveva prodotto un effetto “dissuasivo”.
Ciò premesso, il Supremo Collegio ha posto in luce diversi aspetti. Preliminarmente, ha rilevato la sussistenza della legittimazione e dell’interesse a ricorrere in capo alle associazioni di categoria appellate, in relazione al richiesto accertamento giudiziale dell’iniquità delle condizioni generali di contratto incidenti sul termine di pagamento del corrispettivo e sulla decorrenza e misura degli interessi moratori, precisando che anche la Pubblica Amministrazione riveste il ruolo di imprenditore “forte”, ovvero di soggetto che predispone condizioni generali di contratto e le utilizza nelle transazioni commerciali.
Successivamente, la sezione ha statuito che le norme imperative contenute nel decreto che ha disposto l’attuazione della direttiva 2000/35/CE, in disparte ogni considerazione sulla supremazia del diritto comunitario, non possono essere derogate dal preteso accordo rinvenibile nella presentazione dell’offerta, il quale, a parere dell’Amministrazione appellante, implicherebbe “acquiescenza – accettazione” alla sostanziale iniquità; anzi, sarebbe illegittima ogni esclusione basata sulla non accettazione o sull’espresso dissenso, da parte di un concorrente, di una clausola contrattuale iniqua, considerando che le norme imperative si sostituiscono automaticamente a quelle invalide (articoli 1339 e 1419 del codice civile).
Per altro verso, l’azione inibitoria legittimamente promossa dalle associazioni rappresentative degli interessi delle piccole e medie imprese mantiene una propria funzione, poiché ha lo scopo di impedire l’inserimento di tale clausole inique, le quali, per quanto insuscettibili di produrre effetti, potrebbero provocare un effetto dissuasivo sulla volontà delle imprese di partecipare alla gara.
A chiusura della sua attenta e approfondita disamina, il Consiglio di Stato ha infine affermato che nel binomio “bando – presentazione dell’offerta” non può rinvenirsi un diverso accordo dal quale desumere la volontà delle parti di derogare alla disciplina imperativa posta dalla legge.

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