Giurisprudenza annotata
Abstract
La Regione Lombardia ha sollevato questione di legittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge 27 dicembre 2006, n. 296 ed in particolare dei commi 892-895 dell’art.1. Il comma 892, della succitata legge autorizza una spesa annuale di 10 milioni di euro per il triennio 2007-2009 disponendo che il Ministro per le riforme e l’innovazione nella P.A., limitatamente agli interventi relativi alle Regioni e agli enti locali, di concerto con il Ministro per gli Affari regionali e le autonomie locali, entro quattro mesi dall’entrata in vigore della legge provveda, con decreto di natura regolamentare, ad individuare «le azioni da realizzare sul territorio nazionale, le aree destinatarie della sperimentazione e le modalità operative e di gestione di tali progetti». Ad avviso della ricorrente l’attribuzione al Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali di un potere concertativo nell’emanazione del decreto succitato e l’estensione a tutto il territorio nazionale dell’ambito di sperimentazione, con l’indicazione delle modalità operative e di gestione dei progetti, comporta una violazione delle competenze regionali, proprio perché tra i destinatari della previsione della disposizione rientrano le Regioni e gli enti locali. Il comma 893 dispone, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’istituzione di un fondo di 15 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2007-2008-2009, per il sostegno agli investimenti per l’innovazione negli enti locali. Anche in questo caso, ad avviso della ricorrente, lo Stato ha travalicato il proprio ambito di competenza; il fondo, infatti, secondo la Regione de qua ha come obiettivo quello di finanziare progetti che investono l’organizzazione amministrativa degli enti locali, relativi alla «digitalizzazione dell’attività amministrativa»; detta competenza rientrerebbe, pertanto, nella competenza residuale regionale. La Regione lamenta altresì la mancata previsione di alcuna forma di collaborazione con i soggetti destinatari degli interventi, essendo stata prevista solo una consultazione, non vincolante, delle Regioni con la Conferenza unificata (comma 894). La Regione Lombardia lamenta, altresì, l’illegittimità costituzionale del comma 595 nella parte in cui stabilisce «norme tecniche e di dettaglio sulle caratteristiche da privilegiare nella valutazione dei progetti da finanziare […] idonee ad avere sicure ripercussioni sulle modalità di organizzazione delle amministrazioni che le adotteranno […] senza disporre alcune forma di consultazione o di intesa con le Regioni. Le disposizioni costituzionali ritenute lese – da parte della Regione – sono dunque, l’art. 117, 118, 119, nonché il principio di «leale collaborazione» di cui all’art. 120, di «buon andamento» di cui all’art. 97 e di «ragionevolezza» di cui all’art. 3 Cost. La Corte costituzionale, in primo luogo, dichiara che le questioni prospettate dalla Regione in oggetto con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. sono inammissibili. Mentre, non ritiene fondate le questioni sollevate nei confronti dell’art. 1, comma 892 e 895 della legge n. 296/2006 con riferimento agli artt. 117, 118 e 119 Cost. nonché con riferimento al principio di leale collaborazione. Le disposizioni di cui si lamenta l’illegittimità costituzionale si riferiscono all’amministrazione dello Stato e degli Enti pubblici nazionali e, trovano la loro legittimazione nell’art. 117, secondo comma, lettere g) e r) della Costituzione; trattasi, quindi, di potestà legislativa esclusiva dello Stato. Dette norme – dice la Corte – possono trovare applicazione anche nei confronti delle Regioni e degli Enti locali e per questo è stato previsto che per l’emanazione del decreto di natura non regolamentare del Ministro per le riforme e l’innovazione nella PA, sia necessario il concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali. Del resto, la Corte costituzionale, richiamando già altre sentenze (31 del 2005 e 17 del 2004) ricorda che l’attribuzione a livello centrale di siffatta materia risponde all’esigenza di garantire «una comunanza di linguaggi, di procedure e di standard omogenei, in modo da permettere la comunicabilità tra i sistemi informatici della pubblica amministrazione». Inoltre, diversamente rispetto alle decisioni sopra richiamate, le disposizioni censurate non incidono direttamente su specifiche competenze regionali ma si limitano ad individuare le Regioni quali aree territoriali sui cui è possibile condurre forme di sperimentazione oltre che soggetti interlocutori per la realizzazione di progetti innovativi. Non si ravvisa dunque, secondo il Giudice delle Leggi, la necessità di attivare ulteriori forme di coinvolgimento degli enti territoriali interessati. Risulta utile, inoltre, richiamare alla memoria l’art. 14 del CAD che al primo comma dispone che «lo Stato disciplina il coordinamento informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale, dettando anche le regole tecniche necessarie per garantire la sicurezza e l’interoperabilità dei sistemi informatici e dei flussi informativi […]. Lo Stato, dunque, - ricorda il Giudice costituzionale - disciplina il coordinamento informatico, oltre che per mezzo di regole tecniche, anche quando si ravvisano esigenze di omogeneità ovvero «profili di qualità dei servizi» e di «razionalizzazione della stessa» funzionali a realizzare l’intercomunicabilità fra i sistemi informatici delle amministrazioni (sentenza 17/2004). Per quanto concerne le questioni di legittimità sollevate con riferimento ai citati commi 893 e 894, la Corte ribadisce la non fondatezza. Detti commi, infatti, oltre a rientrare nella competenza esclusiva dello Stato, di cui alla lettera r) dell’art. 117 Cost. trovano un loro fondamento anche nella lettera p) dello stesso secondo comma dell’art. 117 Cost. La finalità perseguita dal Fondo di cui alla sopra richiamata disposizione è, infatti, quella di «finanziare progetti degli enti locali relativi agli interventi di digitalizzazione dell’attività amministrativa, in particolare per quanto riguarda i procedimenti di diretto interesse dei cittadini e delle imprese». Si tratta dunque – secondo la Corte – di uno strumento attraverso il quale agevolare lo svolgimento da parte degli enti territoriali di «funzioni fondamentali» ad essi attribuiti dalla Carta costituzionale.
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